Genova la mugugnona
Genova è una città strana, città di grandi contrapposizioni sociali, economiche, culturali e addirittura morfologiche. Città con una grande storia, monumenti di valore inestimabile, affascinante e labirintica. Ci sono città policentriche per nascita, altre per scelta, Genova lo è per motivi storici e per conformazione territoriale. Genova, con quel suo arco di 30 km che si affaccia sul mare e quelle due vallate, lunghe e strette, la Val Polcevera e la Val Bisagno, che ne fanno un corridoio verso il nord più profondo, ricorda un “p greco” rovesciato.
Genova è la storia di molti comuni storicamente preesistenti, con una loro dimensione territoriale, amministrativa ed economica che tra il 1873 ed il 1935 vennero accorpati per far nascere la “Grande Genova”.
Genova è mugugnona, cosmopolita, accogliente, sorniona, straniera, apolide, multietnica, ma è soprattutto casa. Città di porto, città di mercanti e borghesi, di ricche famiglie nobili, di condottieri e di banchieri, è, per antonomasia, la città dei “camalli”. Una città che riconosci dai suoi odori, dal vento che la sferza, da quel cambio di prospettiva che si modifica ogni volta che entri nella città antica: il centro storico.
“Respublica superiorem non reconoscens”, era questo il motto della Repubblica di Genova che dopo la vittoria sui Pisani, nella battaglia della Meloria del 1283, ebbe incontrastata supremazia sul mar Tirreno, contenendosi, in una perenne lotta con Venezia, quella sul mar Mediterraneo.
Dal crollo industriale al Porto Antico…
Città di mercanti e di banchieri la Superba tra il XIX secolo e la prima metà del novecento è stata anzitutto una città industriale, con un tipo di industria prevalentemente finanziata dallo Stato. Negli anni ’70 Genova era, dopo Milano e Torino, una delle locomotive di un’Italia al culmine di un travolgente processo di industrializzazione. Il vertice più meridionale del cosiddetto “triangolo industriale”, capace di attirare talenti e braccia da tutta Italia.
Quando questo tipo di industria è venuta meno c’è stata la grande crisi di Genova. La fine della grande industria aveva cancellato centomila posti di lavoro e duecentomila residenti. Il sogno del milione di abitanti che aveva caratterizzato gli anni ’70 era improvvisamente svanito. Da allora la città ha dovuto reinventarsi, e in parte lo ha fatto. Dopo anni di difficoltà, di scelte politiche sbagliate, di idee tutt’altro che lungimiranti qualcosa pare che sia davvero cambiato.
Molte delle aree industriali o portuali non più all’altezza della portualità contemporanea sono state riconvertite. Il caso del Porto antico è il più clamoroso. È stato un grande successo a livello di immagine e di turismo, trattandosi di un pezzo di porto che ormai non aveva più ragione d’essere dato che quello vero da un po’ di tempo si era spostato tutto a ponente. L’invenzione di Renzo Piano, il famoso architetto figlio di questa Genova austera, ha dato nuovo vigore alla città aprendo il suo centro storico verso quello sbocco naturale che per secoli l’aveva caratterizzato: il mare, il porto, l’orizzonte lontano.
Il porto e la sua ambizione
Secondo un’elaborazione di Assoporti nel porto di Genova vi transitano oltre 2 milioni di TEU all’anno, contro le 615 mila del 1995. La filiera portuale genera nella sola Liguria un totale di 54 mila occupati, e 4,6 miliardi di valore aggiunto. Ma a trarre beneficio dal porto sono anche altre regioni: in primis il gigante lombardo, che in Genova ha storicamente il suo porto di riferimento, e poi i confinanti Piemonte ed Emilia-Romagna. Con i numeri sopra esposti, complice un’eccellente posizione geografica e il recente raddoppio del Canale di Suez, la città della Lanterna ambisce a diventare un hub primario per il traffico tra l’Asia e l’Europa, a scapito dei porti nordeuropei.
E poi?
E poi c’è il turismo
Negli ultimi anni Genova si è rivelata una delle destinazioni emergenti del turismo in Italia. I media internazionali hanno dedicato ampio spazio al centro storico genovese (i Rolli sono un bene protetto dall’UNESCO dal 2006), e gli arrivi da tutta Europa nonché da Russia, USA e India hanno contribuito a trasformare il turismo nella seconda industria locale, dopo l’imbattibile porto. A giugno, ad esempio, sono state toccate le 455mila presenze: +6% rispetto a giugno 2016. Ed è storia di questi giorni l’articolo apparso sul prestigioso quotidiano americano Forbes che indica Genova tra le mete da visitare nel 2018.
Ma Genova non sarebbe la città del “mugugno” se tra i suoi caruggi ed i locali “ancienne regime” non divampasse da tempo la polemica: città turistica o città industriale?
E se ci caratterizzassimo con tutti e due gli elementi, perché no? L’industria è lavoro, una città vive, cresce e si autoalimenta se i suoi abitanti godono di un buon tenore di vita. Un’industria pulita, non invasiva, non credo che sia in antitesi con il turismo.
Le bellezze che caratterizzano il centro storico rimangono inalterate, i gioielli dell’ammiccante riviera sono lì a far bella mostra di sé. Genova ha bisogno di collegamenti veloci col nord, è necessaria l’alta velocità che ci colleghi a Milano in poco più di quaranta minuti. Dobbiamo ampliare e migliorare il nostro aeroporto con un collegamento del trasporto pubblico verso il centro. Pensare ad una linea Metro, anche in parte in superficie, deve essere una priorità.
Liverpool e la sua trasformazione
Ragionando di ciò mi sovviene alla mente la storia di Liverpool che con Genova ha molte assonanze.
La città inglese divenne, agli inizi del XIX secolo, il principale porto dell’economia avanzata, motore della rivoluzione industriale. Nacquero i magazzini Albert Dock (avete presente i nostri magazzini del Cotone o l’Hennebique?) un complesso architettonico dell’area portuale, realizzato con le tipiche materie prime dell’epoca: mattoni, pietra e piloni portanti in ghisa, che divennero a breve, assieme all’intera area portuale, un esempio in tutto il mondo nell’ambito della cantieristica navale.
Nel 1930 Liverpool raggiunse la sua massima espansione demografica, con circa 850.000 abitanti (ma guarda! Lo stesso numero di Genova!). I cantieri navali di Liverpool raggiunsero il loro periodo aulico: furono infatti costruite nei suoi bacini diverse decine di navi da guerra, oltre che imbarcazioni civili e transatlantici. Fra queste il Britannia, il Titanic, il Lusitania.
Nonostante ciò, dalla metà degni anni ’60, un intero modello di sviluppo, basato sulla presenza di industrie pesanti, sulla cantieristica navale e le attigue attività portuali, si rivelò essere non più foriero di benessere. Ciò fu reso evidente nel 1970 dall’introduzione dei container nello stoccaggio e nella distribuzione delle merci nei traffici commerciali transcontinentali.
Il bacino il Seaforth ed i magazzini Albert Dock, ormai superflui, vennero chiusi nel 1972.
Gli anni della rinascita
A partire dagli anni ’90 l’economia e lo sviluppo cittadino di Liverpool sono tornati a rifiorire, registrando costantemente valori di crescita ben al di sopra della media nazionale inglese nonché maggiore di tutte le altre grandi realtà urbane del Regno.
Nel 1993 l’Unesco riconosce il valore architettonico e storico dei magazzini Albert Dock, definendoli patrimonio mondiale dell’umanità.
Da allora i magazzini Albert Dock riacquistarono nuova vita, diventando sede di importanti attività commerciali che popolano i portici rappresentati dai piloni di ghisa.
Laddove sorgevano magazzini navali, oggi insistono sedi di aziende del settore terziario, studi televisivi, negozi e musei.
La città ottenne, nel 2003, un altro ambito riconoscimento: per quell’anno le fu infatti assegnato il titolo di Capitale europea della cultura.
Per quanto riguarda i bacini artificiali, essi sono stati riutilizzati come moli d’approdo per yacht e barche a vela.
I magazzini Albert Dock rappresentano, oggi, la principale attrattiva turistica di Liverpool, i magazzini del Cotone una delle principali attrattive turistiche di Genova.
Entrambe hanno un porto di primaria importanza, entrambe hanno sfiorato il milione di abitanti, ambedue sono state capitale europea della cultura e sempre ambedue hanno una parte della città come patrimonio mondiale dell’Unesco.
Entrambe hanno visto aumentare il numero dei turisti ed hanno scoperto questa loro nuova vocazione.
L’economia no, quella non è uguale….