La direttiva europea sulle Case Green: il giusto percorso comunicato male.

case green

La direttiva europea sulle Case Green, più precisamente Direttiva Europea Energy Performance of Buildings Directive (EPBD), ha indubbiamente creato più di un turbamento nei proprietari di casa e più di una perplessità negli operatori del settore.

Ma cosa dice la norma, che dovrà essere ancora discussa dal cosiddetto “Trilogo” (Parlamento/Commissione/Consiglio) e giungere, se approvata, agli Stati dell’Unione affinché legiferino in proposito?

Riepilogo degli obiettivi per le “case green”

In sintesi, questi sono i principali obiettivi della direttiva sull’efficientamento energetico:

• Entro il 01.01.2030, ovvero 7 anni da oggi, tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero.
• Entro il 01.01.2030, tutti gli immobili residenziali dovranno raggiungere la classe energetica E.
• Entro il 01.01.2033, tutti gli edifici dovranno migliorare di un altro gradino nella classificazione energetica e raggiungere la classe D.
Entro il 2050, tutti gli edifici dovranno essere a emissioni zero.

Va premesso che non metto in questione l’obiettivo, assolutamente virtuoso, riguardante il superamento delle emissioni e, prima ancora, la fase di transizione ecologica.

Ma il percorso attraverso cui si intende raggiungere il risultato, per la sua drasticità e indistinzione, confligge chiaramente con il principio di sussidiarietà e con i criteri della ragionevolezza, dell’adeguatezza, della proporzionalità che dovrebbero guidare l’azione del legislatore comunitario.

Qualcosa non quadra

Obiettivi ambiziosi e integerrimi, anzi necessari, ma inventati in una dimensione avulsa dalle particolarità dei singoli Paesi, senza considerare non tanto la differenza del territorio e della società europea, ma la realtà nelle sue differenze.

Tali obiettivi, così dichiarati e resi di pubblico dominio, rischiano di generare una reazione popolare avversa rispetto a temi cruciali, mentre spetta alle Istituzioni comunicare un messaggio di speranza, alimentare la cultura che vivere in un ambiente sano ed in armonia con la natura aiuta a stare meglio e ci consente di lasciare ai nostri figli un pianeta più vivibile.

Ritengo che sia necessario programmare importanti risorse europee, introducendo magari un “mutuo green” a condizioni di particolare favore, programmando un vero piano che preveda la ricostruzione della filiera produttiva edilizia in Europa.

Oggi, invece, le materie prime e i prodotti di largo consumo utilizzati in edilizia provengono, in grande misura, da paesi extra UE. Così facendo, invece, ridurremo la dipendenza continentale da altre economie aumentando l’occupazione. Poi, al fine di prevenire anche tensioni sociali, si dovrebbero graduare gli incentivi in relazione sia alla condizione degli edifici, sia in relazione agli ISEE dei proprietari.

Nelle periferie delle grandi città italiane, e non solo, assistiamo sempre più spesso a casi di immobili acquistati per 60/70 mila euro attraverso finanziamenti ipotecari che, nella maggior parte dei casi, coprono l’intero prezzo d’acquisto.

Spiegare a questi proprietari, che hanno acquistato quel bene col frutto di lunghi sacrifici, che devono investire 15/20 mila euro per efficientare i loro immobili e renderli “case green”, onde evitare che perda il 50% del valore d’acquisto, non è una bella cosa.

Che cosa fare

Personalmente ritengo che gli incentivi non dovrebbero superare il 90% dei costi complessivi perché regalare denaro pubblico, come è stato per il 110%, è immorale, distorsivo e poco civile.

Poi, occorre dilatare i tempi e rendere organico e strutturale un piano di riqualificazione del patrimonio immobiliare dei singoli Stati dell’Unione Europea. Ed infine, sì alle case green, diventa necessario far percepire ai cittadini europei il messaggio positivo di una rinnovata esigenza ecologica che ci svincoli sempre più da edifici energivori.

In conclusione, è vero che la direttiva europea sull’efficienza energetica degli edifici di per sé non contiene obblighi per i proprietari di casa, né impedisce di vendere o affittare gli edifici che non rispondano ai nuovi requisiti di efficienza richiesti: la direttiva, infatti, impegna direttamente gli Stati, non i privati cittadini, a raggiungere quegli obiettivi.

Ma visto l’obiettivo di cui si parla (cioè ridurre del 50% le emissioni entro il 2033), questa distinzione è solo una questione formale, o, se si vuole, di tempo.
Nella legge con cui l’Italia dovrà recepire la direttiva, infatti, è ben difficile che non ci siano obblighi a carico dei proprietari. La revisione di questa normativa non può non essere, dunque, sostanziale.

Vi sono indubbi riflessi sul valore degli immobili, sul rapporto con le banche, data la frequente costituzione in garanzia degli immobili stessi per i mutui, più in generale per il rischio di credito.

 

Fabrizio Segalerba
Agente immobiliare certificato – Segretario nazionale Fiaip